Vi siete mai trovati in un Purgatorio delle scelte che avete fatto e non potevate nè uscire nè continuare? Mi limito in particolare alle scelte degli studi. Siete appassionati di un ambito degli studi, ma siete continuamente delusi dalle vostre incapacità, dalle delusioni, dai professori o altro? Vi capisco perché lo ero anch’io. Per tanti anni ho pensato di aver sbagliato la lingua che ho iniziato a studiare. E poi, forse per caso, e passo dopo passo, ho capito che non era cosi, che anch’io ne ero capace. Yes, I can. E potete esserlo anche voi! Leggendo il mio percorso, capirete come e cosa fare per superare le paure e gli ostacoli. Siamo nei tempi quando abbiamo abbastanza tempo per la riflessione e credo di poter aiutare qualcuno con le scelte degli studi di lingua.
Non so tante cose, ma imparerò. Suona come una preghiera, ma non lo è. Io lo vedo più come una vittoria che mi ha aiutato a vedere le cose da un’ottica più positiva.
Per tanti anni ho voluto, ma non potevo o sapevo scrivere in italiano. Veramente scrivere le storie che ho inventato io. Sì, l’ho studiato, ma comunque non usavo mai la lingua per communicare e non mi serviva. Anzi, l’ho capito sempre bene, guardando i film, leggendo dei libri e articoli e sapevo come tradurrla in sloveno, ma il vero problema era sempre la paura d’esprimermi nella linguggio dei vicini occidentali.
E come mai, direte? Tutti la amano, questa lingua d’amore. La lingua della pizza e pasta e di Roma città eterna e della tarantella. Ehì, ragà! Non parliamo della lingua, che nei secoli si è sviluppata dal antico latino ed è diventata una delle lingue più complesse al mondo (quando iniziate a imparare qualsiasi lingua, anyway, vedrete che state state sbagliando). Voi immaginate un’Italia dove è tutto facile, tutti volano come le farfalle e vivono la dolce vita. Invece no, è il contrario.

Il mio percorso è andato un po’ così. I miei nonni durante l’occupazione italiana qualche centinaio di anni fa, frequentarono le scuole italiane e poi alcuni miei parenti alla fine sono finiti a vivere a Lido di Venezia. Poi nacqui io, con dei parenti a Lido e i nonni che sapevano parlare un vecchio italiano. Amavo i miei nonni, i tre che ho conosciuto parlavano anche italiano ed erano loro la mia prima ispirazione per l’apprendimento della lingua – ma non mi hanno imparato quasi niente. Pensavo, siccome siamo vicini all’Italia, mi servirà impare bene l’italiano. Invece ho sbagliato. Potevo imparare bene il tedesco e la mia vita sarebbe diventata come quella di un miliardario. Fosse stato così!
Facciamo un fast forward. L’italiano non l’ho imparato durante le lezioni della lingua italiana nelle scuole superiori, ma studiando storia dell’arte. Questo lo capii quando iniziai il mio primo anno all’università. Non sapevo la lingua, ma imparai a studiarla, a studiare la grammatica, la storia, la traduzione. E la professoressa a cui devo tanto per avermi dato l’ ispirazione è la signora Tamara.
Facciamo così, nel blog menzionerò per nome solo le persone che sono state le risorse positive.
Perché lei? Perché lei sa insegnare la ligua, stimola e ispira la nostra voglia apprendere. Non ci ha dato il dono di capire e poter communicare, no, poiché questo non può darecela nessuno, ma almeno a me ha dato la fiducia per poter continuare. Tutti gli altri professori, più o meno ostacoli che dovevo superare.
Se non puoi, devi. E se devi, puoi.
(Anthony Robbins)
Come fare le lezioni più noiose al mondo
Ho almeno due esempi in mente.
Il primo esempio è un nostro lettore italiano. Che ci annoiava d’immenso. Parlo sopratutto di me.Prima ci faceva notare la differenza tra “à e a”, che sarebbero una a lunga e una a corta, una aaaaaaaaaaaaaa lunga e a corta. E così via, con tutte le vocali, senza molte spiegazioni. Ripeti le ‘a’ e vedrai. Va bene. Io non capisco, ma forse gli altri si. (Non l’ha mai capito nessuno in realtà). Mentre nelle lezioni della fonetica inglese abbiamo preso un intero libro degli allofoni, fonemi e ‘anemone’. Addiritura anemone.
Poi come se non bastasse, ci illuminava d’immenso con Ungaretti. Addiritura per due mesi. Infatti ancora oggi non voglio leggere molta poesia antica italiana, perché non ho mai capito l’immenso che c’è. M’annoiavo della noia immensa. (Non è vero che poesia italiana non mi piace, ma lo capirete più in avanti). E quel Gesù che si è fermato a Eboli. Si è fermato pure alla nostra facoltà, infatti, molto lontano da essa. Ed ha mandato quel lettore a raccontarci delle storie per fare penitenza. Non credo fosse Gesù, poi, forse uno dei suoi seguaci. Di questo lettore mi ricordo solo una cosa in più – abbimo trasformato il suo cognome nel verbo che significava annoiarsi. Quelli che c’erano, se lo ricorderanno.

Il secondo esempio: è brutto parlare delle persone come se fossero cattive o noiose. Ma forse meno brutto scrivere delle loro lezioni. Una cosa che odiavo di più erano le traduzioni giuridiche dallo sloveno verso l’italiano. Non era colpa del professore, ma degli antichi Romani, credo. Penso che loro abbiano scritto le forme guiridiche, tipo le leggi, codici penali e civili mentre erano alle terme un po’ drogati dal caldo e dallo zolfo. Da quel tempo non è cambiato molto, l’hanno tradotto nel latino volgare, ups, cioè, italiano, e così fu. Siccome non potevo e ancora non posso mettermi in relazione con gli antichi Romani alle terme prima che esplodesse il Vesuvio, neanche potevo capire la loro lingua.
Ma sono solo quelli del Litorale, i professori, maghi e gli Italiani stessi quelli ad appannaggio di usare la lingua italiana? Molte volte la risposta è stata: sì.
E cosi proprio a questo punto poteva finire la mia storia d’amore con la lingua italiana.
La commedia dell’arte
Ma invece… sono misteriose le vie del Signore. Così da un sentiero misterioso (lì a Trieste) è arrivato Marzio. Un Serbo che questo non lo era, mi ha appassionato della drama, commedia e teatro italiano. Mi ha aperto un mondo meraviglioso dagli inizi della commedia dell’arte (mo che penso, probabilmente abbiamo fatto dei pezzi anche da prima di questo periodo) fino a Italo Calvino, poi ha aggiunto l’improvvisazione. Non mi ha mai fatto provare la sensazione che io non importo e che non so parlare l’italiano. Che non sono dal Litorale come gli altri che parlavano bene l’italiano. No, mai. Ma ci faceva ripetere l’inchino dopo la scena finale al palco almeno trenta volte. Ovviamente i dettagli sono importanti nel teatro. I dettagli sono importanti in generale in Italia – inchinarsi al modo giusto, mangiare la pasta al modo giusto, cucinare i piatti così come ci ha imparato la nonna di qualcuno, usare la grammatica senza errori, comportarsi nel modo giusto. Di questo non ne sapevo, ma del inchino ho imparato tanto. E della communicazione con il pubblico, di come alzare la voce e abbasare la voce, come pronunciare le parole con aaaaa o à, è ed é, o o ò.
Ci ha mostrato che ciamo capaci di cantare L’infanzia di Maria da Fabrizio De André, che è una canzone difficile da cantare e va cantata molto veloce. Non so se siamo riuscite quella volta a fare uno show interessante (quanto riguardo gli spettatori), ma noi ci siamo divertiti un sacco. Di quell’anno 2008 esistono solo parecchie foto di una qualità pessima – forse perché la qualità di vita è stata maggiore.
Con un po’ di esercizio è possibile prendere lezioni di ottimismo anche da Giacomo Leopardi.
(Gianni Rodari)




E poi, dopo di quest’esperienza creativa e positiva, si sono susseguiti gli anni vuoti, senza parlare l’italiano e senza immaginare che un giorno forse … potrò anche usarla al lavoro. E c’era la disoccupazione. E poi un salto in mezzo al …
Portogallo dove siamo finiti proprio per sbaglio cinque Sloveni che nessuno voleva, poiché volevano gli Slovacchi. La storia forse è già stata scritta in un altro post, quindi qui devo menzionare che per fortuna è stato un caso delle vie misteriose del Signore che mi ha portato in mezzo al gruppo italiano. Con un’altra persona importante, il nostro supervisore Vincenzo. Specifico che non volevo lavorare in Italiano o stare nel mezzo del gruppo perché non mi sentivo a mio agio.
Lui sapeva che il mio italiano non era molto soddisfacente però mi diede la possibilità di migliorare. E così senza, volerlo, sono finita in un gruppo Italiano a Lisbona ed ho imparato la lingua. Ed è stato lì che ho capito che non esiste una lingua italiana – esistono solo delle varianti regionali, sociali, personali.
Io ho dovuto comminciare dall’inizio. Per esempio dall’abbigliamento. “Come si dice ‘hat’ in italiano?” ho chiesto vari colleghi.
“Cuffia, cappello, cappellino, berretto, ecc” mi hanno risposto tutti una risposta diversa dall’altra.
“Si, ma una parola generica che posso trovare in dizionario?”
“Non esiste una sola parola. Come noi che siamo Napoletani e siamo Siciliani, oppure da Milano. E’ una cosa troppo complessa da capire.”
Va bene, mi lascio essere guidata dalla gente e imparerò. Come Julia Roberts nel film Mangia, Prega, Ama ho “attraversato” da essere sola a far parte di una comunità dove abbiamo mangiato insieme, siamo usciti insieme ed abbiamo festeggiato che qualcuno abbia portato un pezzo di carne dal macelaio di fiducia da Firenze e ci siamo fatti una cena. E’ stata un’esperienza trasformativa – l’esperienza della communità italiana. Dove si condivide anche i momenti meno belli, però ho capito dove mi porta la mia strada, il mio percorso. Subito tutte le scelte avevano un senso e una direzione. E tutta la gente che ho incontrato in questo percorso ha lasciato una traccia più o meno visibile – ma ho visto il senso.
Qundi in conclusione – essendo una delle persone più impazienti a capire se sto seguendo un percorso giusto, dovevo sperimentare. E sbagliare. Sia nella vita che in grammatica. Ed è sempre un continuo di sperimenti dalle ipotesi alle conclusioni più o meno esatte. La lezione importante è sapere che anch’io sono capace, che ho dei limiti ma sopratutto dei lati positivi, creativi e capacità impossibili.
“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.”
San Francesco D’Assisi
